“Chi non ricorda quegli uomini liberi,quei padri di famiglia prelevati, dagli squadristi in camicia nera, dalle loro abitazioni, dal letto coniugale, dagli uffici, dai posti di lavoro? Prelevati, bastonati, tradotti in carcere o massacrati davanti alle loro abitazioni o davanti alle Camere del Lavoro incendiate. Che cosa è avvenuto delle loro mogli, dei loro figli, dei loro genitori? Che cosa è avvenuto di quelle famiglie? Quanti nomi si potrebbero fare! Quanti conosciuti, quanti rimasti sconosciuti! Ma di tutti sono conosciute le loro sofferenze morali e materiali. Per venti anni mogli, figli, famiglie di antifascisti sono stati perseguitati, sono stati sottoposti al più spietato terrore. Costretti a vivere lontano dai loro cari, nel più completo isolamento. Quanti di costoro non sono più tornati, lasciando un vuoto incolmabile nelle loro case....
Ognuna di noi che si è trovata durante la guerra di liberazione nazionale, al posto della mamma, a dare l'ultimo sorso d'acqua e l'ultimo addio a un patriota che ci abbandonava per sempre senza chiedergli quale fosse la sua fede politica e religiosa, ha fatto la promessa di non dimenticare le parole che ogni volta ci venivano ripetute: “fate che il nostro sacrificio-ci dicevano i caduti-non sia stato vano”. "Ebbene, on. Colleghi, uniti con loro rinnoviamo la promessa dicendo ai nostri compagni di lotta, di sofferenza e di gloria: “Riposate in pace, finchè in Italia ci sarà un antifascista ... il vostro sacrificio non sarà stato vano ed il fascismo non passerà.
On. Gina Borellini
Medaglia d'Oro al valore militare
(da un discorso pronunciato alla Camera dei Deputati nella 1° legislatura)
La sera del 3 agosto 1944 a Rovereto, sulla soglia di casa, venne ucciso Bartoli Arturo iscritto al partito fascista
repubblicano. E la rappresaglia fascista ebbe inizio.
La corriera che li trasportava si fermò al lato destro della chiesa di Rovereto e, fatti scendere dai fascisti, furono allineati uno accanto all'altro davanti al muretto che allora si ergeva di lato alla chiesa e furono uccisi a raffiche di mitra dal plotone di esecuzione comandato da Armando Tarabini. Erano passate le 3 del mattino del 7 agosto 1944.
La rappresaglia di Rovereto del 7 agosto 1944 viene ricordata come la “STRAGE DEGLI INTELLETTUALI” poiché sei degli uccisi erano uomini di cultura, laureati, conosciuti per il loro impegno e le loro attività sociali.
Jonas Golinelli, nella Resistenza armata dal gennaio 1944 nella brigata “Remo”: quando fu arrestato era a casa di parenti;
Canzio Zoldi, prima emigrato in Francia, dopo l'occupazione nazista della Francia rientrò in Italia e qui, confinato a Matera; tornato nel modenese dopo l'8 settembre, collaborò con la Resistenza e per questo fu prelevato dalla sua abitazione il 5 agosto e compreso nella lista dei fucilandi per la rappresaglia di Rovereto.
Dott. Francesco Maxia, medico condotto di Novi, sospettato dai fascisti di collaborare con le formazioni Partigiane, com'era effettivamente, fu prelevato dalla sua abitazione, condotto in carcere a Mirandola, interrogato a lungo senza risultato, inserito fra gli ostaggi per la rappresaglia;
Luigi Manfredini con il figlio Silvio, residenti a S.Antonio, coloni agricoli, non si occupavano di politica ma in paese tutti sapevano delle loro idee antifasciste e questo bastò per essere trucidati.
Prof. Alfredo Braghiroli, valente ricercatore storico, mai esposto politicamente, riservato, modesto e disponibile verso tutti coloro che a lui si rivolgevano. Rimane privo di motivazioni il suo arresto;
Aldo Garusi agricoltore, aderì alla Resistenza dopo l'8 settembre, fu arrestato ed interrogato a lungo: non parlò e per questo venne inserito nel gruppo per Rovereto.
Prof. Roberto Seracchioli, laureato in storia e filosofia a Bologna, insegnante al liceo Pico di Mirandola, Antifascista e, dopo l'8 settembre, Partigiano nella brigata “Remo”, dopo il suo arresto furono rintracciati e distrutti molti suoi scritti; tra i tanti riconoscimenti all'uomo di cultura che era stato, anche la laurea honoris causa dell'università di Bologna il 7 dicembre 1946.
Prof. Barbato Zanoni, insigne studioso, di antica famiglia socialista, manifestò sempre con coraggio le sua idee contrarie al regime fascista; incarcerato e interrogato a Mirandola, non parlò e fu anch'egli condotto a Rovereto alla fucilazione.
*..Un vasto lavoro di persuasione e di propaganda tra i giovani intellettuali e ceti borghesi della zona di Concordia e Mirandola svolge il gruppo legato a Barbato Zanoni e Roberto Seracchioli. Nella zona di Concordia-Mirandola-San Possidonio la componente più viva del movimento antifascista, cioè il gruppo collegato col partito Comunista, intensifica il suo lavoro di penetrazione in direzione dei giovani, soprattutto dei braccianti e dei contadini che costituiscono l'elemento preponderante nella popolazione della Bassa...
*..A Partire dal settembre 1943 comincia a circolare materiale propagandistico, portato a Concordia da Milano da parte di un giovane che aveva parenti a Concordia, la cui distribuzione è curata da un gruppo di giovani a contatto con Zanoni e Seracchioli(testimonianza di Savio Roveda "Geppe")
*..La reazione fascista all'episodio all'episodio del 31 ottobre e all'esposizione del ritratto di Matteotti, che fu collocato nel parco della Rimembranza a Concordia appena dopo, proprio nei giorni della fiera locale, fu rabbiosa e si concretò nel tentativo di arrestare Seracchioli e Zanoni che, avvertiti in tempo, si posero in salvo riparando in Toscana presso Girolamo Bonomi, uno scultore di origine concordiese insegnante a Firenze e di fermo orientamento antifascista..
*..Nella Bassa, l'arresto di Don Sala a Como chiudeva una via di fuga per gli ebrei; quello di Barbato Zanoni a Concordia faceva conoscere al "nuovo" antifascismo militante la via del carcere che tanti vecchi antifascisti avevano già conosciuto. Zanoni, rientrato a Concordia il 5 dicembre 1943, viene fermato il 7, poi ancora il giorno 8; il 9 è arrestato ed associato alle carceri di S.Eufemia a Modena..
*..Mentre perdurava ancora a Concordia lo smarrimento per gli arresti operati pochi giorni, a Rovereto di Novi il 7 agosto veniva consumato il primo eccidio della Bassa Modenese: all'alba del lunedì sul sagrato della chiesa i fascisti fucilarono il prof. Barbato Zanoni, il prof. Roberto Seracchioli, il prof. Alfredo Braghiroli, il dott. Francesco Maxia, Jones Golinelli, Luigi Manfredini, Silvio Manfredini e Canzio Zoldi. Le reazioni della popolazione a questo massacro, sia per la notorietà di molti Caduti, sia per la profonda stima da cui Essi erano circondati, furono improntati alla più profonda esecrazione che accrebbe nella gente il sentimento di avversione nei confronti dei tedeschi e dei fascisti sempre più scopertamente assegnati al truce ruolo di aguzzini e di massacratori di quegli italiani che non erano disposti a servire l'oppressore straniero.
*Le vittime dell'eccidio furono in realtà 9, poichè Aldo Garusi di Concordia che, dopo essere stato "fucilato" era sopravissuto pur gravemente ferito, morì il 22 agosto in seguito alle ferite riportate..
* Da Lotta di Liberazione nella Bassa Modenese di Canova, Gelmini e Mattioli. Pag. 47, 77, 78, 86, 182
Vedi anche in "pagine di storia": "foto storiche" e "storie della Resistenza" dedicate al Prof. Roberto Seracchioli