Gli eventi causati dalla guerra, la lotta di liberazione in corso principalmente nell'Italia del nord contro i nazifascisti, erano avvenimenti ai quali i giovani non potevano restare estranei o indifferenti; era necessario schierarsi.
Gran parte della popolazione delle nostre zone , esasperata dai soprusi e dalle angherie della dittatura, dalle privazioni, dalle sofferenze, simpatizzava per il movimento di liberazione.
La bassa modenese era caratterizzata da importanti nuclei attivi a Concordia, San Possidonio e Mirandola.
Anche a San Martino Spino si organizzò un gruppo. Attorno alla figura di Oles Pecorari, il cui nonno materno, Giovanni Tironi, vecchio, ma attivo militante socialista aveva subìto umiliazioni da parte dei fascisti tanto diventare quasi cieco, si costituì un gruppo di resistenza.
Fu infatti questa positiva presenza ad invogliare il nipote a quell'ideale di giustizia e libertà.
I primi ad aderire al movimento furono i giovani della Baia: Oles, Calanca Cesarino, Borghi Mario e Diazzi Volmer. In breve tempo molti altri giovani di tutto il paese si unirono formando un gruppo di circa venti persone.
L'ispirazione e l'orientamento politico era prevalentemente socialista e comunista.
Le convinzioni antifasciste erano maturate attraverso un'esperienza militare che non volevano ripetere, da una presa di coscienza politica rafforzata dal persistere della dittatura (iniziata nel 1921) e dalla guerra. L'evento decisivo restò comunque l'occupazione da parte della Germania di Hitler dopo l'otto settembre 1943.
Nella primavera del 1944 il gruppo operò per sensibilizzare il maggior numero di persone alla resistenza, attiva o passiva, contro fascisti e tedeschi. I compiti più importanti furono azioni di propaganda, protezione di clandestini e procura di staffette ai militari alleati in transito nella zona ( missioni del Maggiore Burton e del Sergente Barret ). I maggiori sforzi si concentrarono nel reperire fra i simpatizzanti fondi per l'acquisto di armi che sarebbero servite per organizzare " l'insurrezione finale".
Lo schieramento ottenne il riconoscimento dal Comitato di Liberazione Nazionale di Mirandola (C.L.N.) come Squadra di Azione Partigiana ( S.A.P. formata normalmente da dodici a venti elementi, veniva impiegata per le azioni più massicce) e appena venne in possesso di armi fu aggregata alla 14° Brigata "Remo" che univa i vari battaglioni della Bassa. Il battaglione di Mirandola prese successivamente il nome di "Pecorari" del cui V Distaccamento era comandante Oles Pecorari e Commissario di distaccamento Mario Borghi.
Le armi, che non potevano essere reperite con azioni di forza od ottenute da altre formazioni, furono acquistate a mezzo di intermediari che operavano clandestinamente nel Basso mantovano, pagandole più di mezzo milione, cifra enorme per quei tempi.
La parte più cospicua della somma fu elargita, con clausola di rimborso a fine guerra, da alcuni iscritti al movimento e da simpatizzanti esterni. A liberazione avvenuta la parola data venne rispettata.
Le armi provenienti da Poggio Rusco, furono consegnate a Oles, Mario, Cesarino e Volmer che provvidero ad occultarle in una casa all'Arginone .
Per non compromettere la famiglia che vi abitava furono poi trasferite in un magazzino nella "valle" tra balle di paglia.
Vi fu però una spiata.
Un giovane aderente alla rete clandestina mantovana, incaricato di consegnare le armi a San Martino Spino, venne casualmente arrestato, alcuni giorni dopo, dalle brigate nere.
Da simpatizzante antifascista a delatore il passo fu breve. Questo fatto sconvolse i gruppi antifascisti di San Martino Spino e del Basso Mantovano. Per diversi giorni il territorio fu soggetto a rastrellamenti, con l'arresto di una trentina di persone. I tedeschi con la collaborazione delle brigate nere arrestarono i quattro.
Il processo sommario e farsa si tenne nel palazzo di Portovecchio. Don Dante Sala, parroco del paese, riferì dell'accaduto al Vescovo di Carpi, Mons. Vigilio Federico Dalla Zuanna, il quale si rivolse ai comandanti nazisti per ottenere un atto di clemenza , ma l'unica concessione furono solo buone parole. Il capitano delle brigate nere, ugo rezzaghi , assicurò le famiglie che avrebbero fatto tutto quanto in suo potere per salvarli; il suo intervento non fu nella direzione da tutti sperata. Il tribunale condannò alla fucilazione Mario, Oles e Cesarino. Volmer Diazzi fu assolto e deportato in Germania.
Don Sala, che trascorse la notte antecedente l'esecuzione nella cella del Palazzo con i tre Giovani, racconta della serenità e del coraggio con il quale attesero il Sacrificio. A testimonio di questo sono le lettere scritte, in quei tristi momenti, alle famiglie.
All'alba di mercoledì 13 dicembre 1944 giunsero davanti al cimitero che era il luogo stabilito per la loro esecuzione.
Non vollero essere bendati. Il comandante del plotone tedesco chiese se avessero qualcosa da dire e Oles disse: " Noi moriamo per un'Italia Libera e grande. Desidero che i soldati sparino al petto e non al volto in modo che mia madre possa vedere il volto non deturpato".
L'interprete riferì al comandante che subito odinò, al plotone, il fuoco.
Egli si avvicinò al corpo ormai esanime di Oles e sparò alcuni colpi al volto calpestando così anche l'ultima volontà di chi aveva chiesto pietà non per sé ma per sua madre.
Il parroco immediatamente si recò a celebrare la messa di suffragio. La chiesa era piena di gente. La madre di Mario era ai piedi dell'altare e durante tutta la cerimonia implorò la Madonna di salvare suo figlio. < io sono vecchia , ho soltanto lui...> erano le sue parole. Tutti piangevano.
Solo lei non aveva sentito gli spari.
I corpi vennero momentaneamente posti su alcune panche all'interno della camera mortuaria (ora cappella cimiteriale) concedendo l'accesso alla popolazione affinché la macabra visione fosse di monito e scoraggiasse altre azioni di ribellione al potere. Successivamente furono inumati nel cimitero, senza particolari cerimonie di commemorazione ed esequie.
E' questa una delle Rappresaglie più crudeli e gratuite della Bassa Modenese, poiché i condannati erano tutti di giovane età e a San Martino non si erano verificati scontri armati o particolari atti di ribellione.
Finita la guerra e Liberata l'Italia, come desideravano Oles, Mario e Cesarino, si poté finalmente onorarli con le dovute cerimonie.
Con il concorso di tanti Sanmartinesi fu costruita una cappella per dare loro degna sepoltura.
Chi offrì la sabbia, chi la calce, altri la mano d'opera.
Il 7 ottobre 1945 si tenne la cerimonia che attestò l'amore e la riconoscenza dei Sanmartinesi per i tre Martiri. Al mattino nella chiesa parrocchiale Don Sala celebrò una solenne messa di Requiem. Alle 16 dello stesso giorno le salme furono trasportate dalla chiesa al cimitero per la tumulazione con corteo che attraversò San Martino e al quale parteciparono tutti.
Il dottore Mario Merighi tenne il discorso commemorativo alla presenza di Nino Lolli, primo Sindaco di Mirandola, designato dal C.L.N.
In memoria dei tre giovani furono dedicate, ai loro nomi e alla data della loro esecuzione, quattro vie di nuova formazione a San Martino negli anni '70. Le loro foto sono presenti nei Sacrari dei Caduti sotto la loggia del Municipio di Mirandola e alla base della Ghirlandina in piazza Torre a Modena.