"Marisa" Umbertina Smerieri Staffetta Partigiana



Non solo le donne combattenti, dai primi scioperi alle lotte armate, servirono la Resistenza. Ognuna che dette un pane al militare sbandato dell’8 settembre, o donò una maglia e le calze di lana senza chiedere a chi, o nascose per un'ora o un mese il renitente alla leva minacciato di fucilazione, serviva la Resistenza. Ognuna che pianse sui morti, anche se non erano suoi, e andò a vedere i corpi torturati, giorni e giorni insepolti per feroci ordini nazifascisti, o insegnò ad uno sconosciuto il sentiero del monte nel terrore del rastrellamento, serviva la Resistenza.

                    da un testo di Renata Viganò



"CHI NON RICORDA IL PASSATO E DESTINATO A RIVIVERLO"
                    
                    SANTA-YANA




Nell 'assumere l'iniziatiVa di pubblicare la biografia di UMBERTINA SMERIERI l'ANPi di Modena e di Mirandola sono state indotte e stimolate dalla convinzione di dover rendere un ulteriore omaggio a questa gloriosa figura di donna della Resistenza della Bassa e, più in generale, dall'impegno assunto di contribuire ad una più puntuale Valutazione e ad una doverosa Valorizzazione della attiva partecipazione delle donne alla lotta armata nei Venti mesi della guerra di Liberazione Nazionale.
Maturata politicamente nel rapporto sempre più impegnativo con la Resistenza nel periodo culminante, ma anche più duro e
drammatico della lotta armata contro invasori tedeschi e fascisti, UMBERTINA SMERIERI esprime la sua convinta partecipazione affrontando i rischi e le insidie dell'azione, con un impegno Che assume, di fatto, un significato e un Valore più alto nel momento che si somma e si compone con quello più Vasto e corale dell’intero movimento di Liberazione; anche nella Bassa, le donne di ogni condizione - contadine - braccianti - operaie - artigiane - impiegate - intellettuali - per la prima Volta nella storia d'Italia sono impegnate da protagoniste in una lotta dalla quale dipende il loro futuro e quello dei loro figli e dell ’intero popolo italiano. In questo movimento, impegnato in uno scontro mortale per affermare contro il nazifascismo i Valori irrinunciabili della Pace, della libertà, dell'indipendenza nazionale e della dignità umana, le donne svolgono, anche nella Bassa, un ruolo determinante che UMBERTINA SMERIERI conferma con il suo impegno e con il suo sacrificio che Viene da noi rammentato, con questa biografia, scritta con sentita partecipazione dalla giovane Rita Papiri, a coloro che hanno Vissuto i giorni indimenticati della Resistenza, e, soprattutto, indicata alla meditazione e alla considerazione delle giovani generazioni impegnate nella ricerca di autentici Valori di Vita che, siamo convinti, sono sicuramente espressi da questa emblematica figura di giovane donna barbaramente straziata e uccisa per non aver Voluto barattare la sua Vita con il tradimento dei suoi compagni e dei suoi ideali e per avere opposto il suo eroico sprezzante silenzio alle crudeli seVizie e alle infamanti richieste di delazione dei suoi carnefici.


17.4.82              Oreste Gelmini
                        Adolfo Pollastri
                        Giuseppe Tanferri

Umbertina Smerieri, nasce a S. Giustina Vigona presso Mirandola l‘8 Agosto 1920.
La sua era una famiglia contadina simile a tante altre in quella zona; numerosa e idealmente raccolta intorno alla figura del padre del “Capo famiglia». Le condizioni economiche delle famiglie contadine si ritmavano in base al loro rapporto di lavoro col proprietario della terra. La maggioranza erano a conduzione mezzadrile anche se vi erano molti affittuari e anche se soppravviveva la terzeria, rapporto di lavore arcaico e oltremodo gravoso e umiliante per il contadino che doveva consegnare al padrone il 70% dei prodotti del proprio lavoro, serbando per se stessi appena il 30%, Anche il proprietario della terra sulla quale gli Smerieri lavoravano era certamente simile a tanti altri. La figura del padrone di quel tempo, come di ogni tempo, aveva alcuni tratti che la identificavano e la sottolineavano: la convinzione di esercitare un diritto solenne e indiscusso sancito e "sacrilizzato" della proprietà in una diffidenza guardinga e indispettita per qualsiasi verità, un paternalismo ora benario ora compiaciuto Verso i propri contadini. Un elemento nuovo e databile precisamente era però entrato nell’immutabile fisionomia del terriero: l’adesione energica, attiva e fiduciosa alla concezione reazionaria e violenta del potere, a quei "valori" di cui il fascismo si era fatto sbraitante paladino. Con la presa del potere e con l'istaurazione delle sue dittature il fascismo ben ripagò le aspettative dei terrieri nella sua politica agraria tutta tesa ad incrementare la rendita fondiaria (e al conseguente inasprimento delle condizioni di vita e di lavoro dei contadini e dei braccianti); poi venne la repressione violenta dell'opposizione. Limbarbarimento culturale in una coreografia pomposa e pasticciona di una parodia di romana e Imperiale
grandezza, il tentativo di una progressiva diseducazione politica del Paese, l'aggressività imperialistica.
La famiglia Smerieri era tradizionalmente una famiglia contadina, che come tante altre da generazioni forniva la propria fatica ed il proprio sforzo,la propria intelligenza ed esperienza ad un proprietario, ricevendone lo stretto necessario per continuare a vivere e lavorare, Umbertina, già da ragazzina, lavorava i campi coi genitori e coi fratelli Angelo, Ruggero, Antonio e Vanda.
Le condizioni di vita erano quotidianamente una conquista, la miseria era una prospettiva sinistramente vicina.
Nella casa di S. Giustina Vigona gli Smerieri si racceglievano intorno alla figura del padre. Papà Smerieri quasi da consapevole patriarca si sentiva depositario di una dignità composta e di una composta serenità da infondere alla moglie, ai figli e a se stesso nei momenti difficili della giornata di lavoro o nei momenti della sera e dei giorni di festa. Papà Smerieri era stato sin dall'inizio un antifascista e in famiglia discuteva volentieri; per quella povertà e per quella temuta miseria che sembrava sovrastarli, per ogni libertà dal regime con tanta arroganza sottratta. Come lui ce n’erano tanti, e nella zona l’antifascismo andava manifestandosi oltre che con un intenso dibattito clandestino anche con atti di sabotaggio e con scritte sui muri di scherno al regime e di incitamento alla popolazione ad organizzarsi. La situazione andò via via inasprendosi e lo sconsiderato avvventurismo fascista si risolse nella guerra. Di fronte alla guerra il movimento di opposizione si intensificò e dalla clandestinità il Partito Comunista e il Parlito Socialista e le altre forze cattoliche compirono sforzi maggiori contro il regime.

La guerra comunque, dalla maggior parte della gente e dei lavoratori non sentita nè voluta, significò ancora un notevole peggioramento delle condizioni di vita. I fratelli Smerieri dovettero partire militari e Umbertina rimase coi geni-
tori nella casa di S. Giustina. Dal 1940 al 1943 furono anni difficili; c'era la fame, c'era il podere da mandare avanti senza i fratelli, c'era l'incertezza delle poche notizie di loro e c'era lo struggente desiderio di rivederli, c’era la realtà della paura dei
bombardamenti. Anche Umbertina non poteva non sentire la tensione, l'incertezza, lo smarrimento; la guerra sembrava voler divorare ogni cosa. Voler salvare i propri sentimenti, come se niente o nessuno potesse scalfirli e impoverirli, era un atto di coraggio. ln quegli anni Umbertina si innamorò ed ebbe un figlio. Ma occorreva ora che lei fosse autonoma e che non gravasse più sulla famiglia, occorreva trovare un lavoro. Per questo si trasferì a Mirandola, in Via Spalti, all'inizio del
"’43", col figlio ancora molto piccolo. Umbertina forse doveva pensare molto ai fratelli in guerra, le notizie erano d'altra parte scarse e poco rassicuranti. Li ricordava nella tenerezza in cui avevano vissuto a S. Giustina prima della guerra, il lavoro a fianco a loro e i loro pasti serali, la soggezione affettuosa che le infondevano. La situazione italiana nella guerra si aggravò - venne l’8 settembre. La confusione, lo sgomento, l'incertezza sembrano travolgere ogni cosa, ogni prospettiva. Dei fratelli Smerieri ritornarono a casa solo Angelo e Ruggero, Antonio era prigioniero in Germania. Per pochi giorni la famiglia si ritrovò unita, anche se nell'incertezza. Nella zona frattanto la Resistenza andava organizzandosi, il Partito Comunista, che era riuscito ad organizzare una più radicata e diffusa rete, si era fatto l‘avanguardia del movimento. L'emergenza era scacciare i tedeschi e i fascisti e fare finire la guerra; la volontà e la prospettiva costruire una nuova e diversa società. Ne Angelo, ne Ruggero se la sentono di arruolarsi nelle brigate nere repubblichine e di continuare ad assecondare l'insensato progetto ditattoriale fascista. Quando Umbertina lo seppe di certo non se ne stupì, ma la clandestinità dei fratelli l'addolorò per la sua rischiosità e per la difficoltà di poterli vedere. Molte volte si chiedeva perche quei tempi richiedessero, cosi come era stato per Angelo e Ruggero, un prezzo cosi doloroso come l'allontanamento da casa e la clandestinità, la privazione, il freddo, la lotta, il combattimento e forse la morte per chi non voleva cedere al regime. Nel frattempo a Mirandola aveva cambiato diversi lavori, non erano certo i tempi in cui poter pretendere un posto stabile. Nell'autunno del "`43" una Zia le aveva proposto di servire i pasti alla caserma fascista di Mirandola, e poichè quello appariva un lavoro sicuro Umbertina aveva accettato. Durante il lavoro nella caserma, Umbertina ebbe modo di raccogliere, tramite discorsi e comportamenti, episodi, la realtà della ideologia fascista: il disprezzo per i lavoratori e per il popolo, l'arroganza sprezzante e l'ottusità della violenza. Sempre di più Umbertina comprendeva la scelta partigiana dei fratelli e sempre più comprendeva che i loro rifiuti e le loro motivazioni, le loro prospettive stavano diventando a poco a poco anche sue. Angelo e Ruggero quando tornavano nella casa di S. Giustina
per trovare i genitori lo facevano di notte e spesso portavano qualche compagno a cui offrivano da mangiare. Allora Papà Smerieri costruì in casa un rifugio vero e proprio: un tramezzo ricavato tra due muri interni perchè potesse servire
di nascondiglio ai suoi figli e ai loro compagni. Recandosi quando poteva dai fratelli, Umbertina si accostò al loro modo di vivere fino ad allora a lei lontano e confuso. Conobbe e capì le meticolose precauzioni, il timore ossessivo delle spie e delle retate, la volontà di continuare ad ogni costo la guerra di liberazione. Certamente in quei mesi Umbertina riflettè molto su queste cose mentre continuava la sua vita tra Mirandola e S. Giustina, tra il suo lavoro alla caserma e il figlio, tra la sua famiglia e i contatti sempre più frequenti con l'ambiente partigiano. In quel periodo conobbe a S. Giustina "Caris" comandante del 9° distaccamento del Battaglione "Carlo". Un giorno "Caris" le chiese, poichè lei lavorava in una caserma,
se poteva procurare qualche arma. Umbertina rimase un poco pensierosa e rispose che avrebbe fatto del suo meglio.
Dopo quell'incontro quando ritornò a casa a Mirandola dal figlio, Umbertina era forse pensierosa e forse turbata.
Certamente capiva che non si trattava di un semplice furto d'armi. Compiere quel gesto avrebbe avuto un significato preciso che avrebbe richiesto uno sforzo e un impegno immensi. Ma ora, come donna, sentiva che doveva far crescere un impegno morale e che non bastava più un passivo assenso alla Resistenza. Il rubare quelle armi portava in sè il segno di una scelta.
Umbertina rubò tre pistole e le consegnò a "Caris". Da allora iniziò a fornire informazioni precise su tutto quello che
succedeva nella caserma. Via via la sua attività di informatrice andava intensificandosi, e ora Umbertina comprendeva il senso di quella battaglia che senti va ormai sua. Quando i fratelli le chiesero di diventare staffetta del loro GAP (Gruppo di Azione Patriottica) Umbertina accettò. Da allora il suo nome di battaglia fu "Marisa". Il 28 Novembre 1944 Angelo fu arrestato all'improvviso e, ancora seminudo, fu condotto all'Accademia Militare di Modena insieme a molti altri. Di li si partiva per la deportazione in Germania. Rimase in carcere 10 giorni al freddo e quasi al buio. L'8 dicembre lui e gli altri furono svegliati presto e ammucchiati nel cortile. Poco distante da loro i camion che li avrebbero portati via. Molta gente si era radunata intorno, in gran parte donne che speravano di poter vedere e salutare forse anche per l’ultima volta i loro figli, loro fra-
telli, i loro uomini. Nel cortile vi era quasi silenzio, qua e la qualche bisbiglio appena. Non si poteva far altro che aspettare
Angelo era all'esterno del gruppo, a contatto quasi con la folla. Gli balzò davanti l'idea che forse era possibile fuggire.
Non riuscì a pensare a nient'altro. Si mosse d'istinto. Con la vista annebbiata e il sangue che batteva forte alle tempie si gettò in mezzo alla folla all`improvviso. La folla lo ingoiò. Fu un istante. I soldati non avevano visto nulla. La folla protesse Angelo e lo nascose; cosi attraverso di lei potè uscire dal cortile. Ma una volta fuori doveva assolutamente nascondersi finchè non fosse venuto il buio. Era seminudo, sporco, con la barba lunga.Rimase rannicchiato nel giardinetto di una casa vicino alla stazione tutto il giorno. Quasi immobile. Appena iniziò ad imbrunire si mise in cammino. Camminò tutta la notte per i campi.
Il mattino dopo verso mezzogiorno era a Carpi.Umbertina frattanto continuava la sua attività, ora non lavorava più per
un GAP, ma per tutti quelli del distaccamento. Si spostava da Mirandola a Fossa, a Concordia, a S. Possidonio in bici-
cletta sotto qualsiasi tempo e sotto qualsiasi rischio. Essere scoperti significava la cattura, la tortura, spesso la morte.
La staffetta partigiana: che era quasi sempre una figura femminile, non era semplicemente la persona che precedeva nel cammino un dirigente per accertarsi che non vi fossero pericoli. Trasportava armi, ordini e istruzioni, materiale di propaganda e vestiti. Manteneva i collegamenti fra le varie formazioni partigiane, con le famiglie dei combattenti, a volte partecipava a veri e propri combattimenti.

Umbertina aveva acquisito in fretta tutto ciò che occorreva.
Aveva l’esperienza e la prudenza necessarla, spirito di iniziativa, conosceva bene i luoghi e le persone. Quando il distaccamento decide la distribuzione di un consistente quantitativo d'armi ai GAP della Zona, per compiere l`azione viene scelta lei. Umbertina si mosse di notte, per le strade di campagna con sporte piene d'armi, nascondendosi in fossi ai passaggi in lontananza delle pattuglie tedesche e fasciste. Arrivava al luogo di destinazione, bussava, consegnava ciò che doveva
e ripartiva. Impiegò tre notti a compiere la missione. Cosi passò l'inverno del "'44". L'azione partigiana nelle zone andava risolvendosi felicemente. Si era al culmine dello sforzo e dell'impegno. Nonostante tutto Umbertina aveva sempre cercato ad ogni costo di vedere il figlio Almo ogni volta che era stato possibile. La notte tra il 23 e il 24 febbraio una coalizione di GAP della prima e seconda zona attacca la caserma della Brigata Nera "Pappalardo" a Concordia. E' un'azione che si risolve favorevolmente per le formazioni partigiane, che dimostra l'efficienza raggiunta dal movimento di resistenza nella “Bassa", che mette in allarme i comandi tedeschi e fascisti. Durante il combattimento viene arrestato un personaggio facente parte
della brigata nera, colui che poi verrà chiamato il "Questurino". Con una decisione che contraddiceva con le norme di prudenza del movimento clandestino, il "questurino" viene portato a Fossa presso la Cà Bianca, uno dei maggiori punti di riferimento partigiano. Alla Cà Bianca il "questurino" viene interrogato. Egli si dichiara disposto a collaborare. Viene attentamente esaminata al sua situazione. Egli ribadisce la propria volontà di collaborare. Cosi, pur essendo tenuto sotto sorveglianza, si concede al "questurino" una certa fiducia. In quei giorni anche Umbertina si reca alla Cà Bianca. ll "questurino" ha modo di vedere anche lei. Nel frattempo si era scatenata la repressione per i fatti di Concordia.
Molti vengono torturati e uccisi. Quando alla Cà Bianca ci si accorge che il "questurino" è fuggito si com-
prende con sgomento che era una spia infiltrata fascista. ll "questurino" parla, fa i nomi di tutti coloro che ha visto alla Cà Bianca. C’è una grossa retata, Umbertina viene arrestata il 10 Marzo 1945. La portano a Concordia, in una villa che la Brigata nera usa come prigione. Viene spinta a forza in un solaio buio. Nonostante sia marzo c'e freddo. Umbertina si rannicchia su se stessa in un angolo.

Nella sua cella ci sono altre donne. C'e Armandina Salata poi, successivamente, Adriana Gelmini e Ludmilla "Sonia" Strain.
In quell’angolo i pensieri di Umbertina si accavallano confusi; i compagni, il figlio, i fratelli, i fascisti dietro quella porta, cosa sarebbe successo dopo. Non passa molto tempo e la porta si apre. La portano via. Mentre viene trascinata l'unica cosa che riesce a pensare: "ora mi interrogheranno, non devo parlare, non devo parlare" Quando alcune ore dopo viene riportata nella sua cella, delle altre compagne che sono lì Umbertina non ne scorge che le sagome nell'oscurità, e forse le loro voci le parvero incredibilmente lonlane. Trascinarsi verso il suo angolo le è immensamente faticoso, è stata picchiata e torturata.
Si accantuccia in silenzio. Si passa le mani sul viso e sul corpo che sente gonfio e dolente. Ma non è che un gesto.
Ossessivo un pensiero: "non devo parlare". Poche ore dopo ancora una volta la portarono via per interrogarla.
Quando la riportarono alla sua cella e la buttarono dentro rimase stesa sul pavimento. Non riusciva nè a trascinarsi nè a muoversi. Le compagne la aiutarono a sdraiarsi su un pò di paglia. Umbertina tenta di dire loro qualche cosa, ma la voce e le parole sono faticose come è faticoso il sonno. Soffre troppo per assopirsi. La solidarieta di Adriana, Armandina e Sonia non basta a contenere il dolore.* Le loro parole, i loro movimenti per lei non sono che ombre livide. Rimane immobile in silenzio con gli occhi fissi al soffitto. Ancora una volta la portano via e ancora una volta è picchiata, torturata e sbattuta sul pavimento della cella. Non ha parlato. Le donne che sono con lei vengono anche loro interrogate, minacciate, picchiate.
Neppure loro parlano. Alla fine vengono rilasciate.

* Da una rievocazione proposta dalla staffetta partigiana Adriana Gelmini nel libro
"Lotta di liberazione nella bassa modenese" - "Le torture subite da quella poveretta
dovevano essere state atroci: il volto coperto di lividi, gli occhi sbarrati, non apriva
bocca. La sua espressione, che ricorderò tutta la vita, mi sembrava volesse dire di
non parlare, come se la sola volontà rimastale fosse quella di una risposta muta a un
nemico cosi disumano".


Ma Umbertina era troppo "compromessa" e viene trattenuta. I fascisti hanno la certezza che se parlasse rivelerebbe molti nomi, molti nascondigli, molti piani. Ma lei non ha parlato. Essi sono decisi a farla parlare ad ogni costo. Seguirono altri giorni in cui Umbertina forse rimase dolorante e riversa al suolo senza riuscire a distinguere nè i pensieri nè il tempo. Altri giorni di percosse, torture, scherno e arroganza brutale. Non parlò mai. Frattanto i fascisti andavano ritirandosi da Concordia e dalla zona che veniva progressivamente liberata dai partigiani. ll 29 Marzo la villa in cui Umbertina è prigioniera viene sgom-
berata. I fascisti si ritirarono verso Verona. Umbertina viene caricata insieme a loro su un camion. ll silenzio di lei e stato per i fascisti il peggior insulto e la peggior sfida. Durante il trasferimento ancora percosse e insulti. Per Umbertina piena di lividi e di ferite il "viaggio" in camion è una tortura. Cerca con fatica i pensieri: la stanno portando via, non ha parlato.
Nei pressi di Revere il camion frena bruscamente. Voci dei fascisti concitate. Un istante eterno in cui non succede nulla.
Poi all'improvviso una spinta o un calcio e Umbertina e gettata dal camion sulla Strada,
Poi la raffica che la uccide.
Il camion riparte.
Tutto ciò un mese prima della liberazione.
Una liberazione che sarebbe stata anche la sua.


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