Elaborati dei vincitori del concorso "Memoria e inchiostro: La scelta, una storia Partigiana"

"Tutti meritano un lieto fine" di Malavasi Mary (VB Cattaneo)

Erano passati cinque anni da quando avevo ritrovato quei documenti. Ricordo quel giorno come se fosse ieri. […] Quella sera, tra l’emozione e una bottiglia di birra, iniziai a leggere attentamente le righe e tra le righe: la prima cosa che mi colpì fu la calligrafia dei manoscritti; fine e aggraziata, proprio come il viso nella foto in bianco e nero sulla prima pagina.

Era una testimonianza in prima persona di una donna partigiana, una staffetta.

Il nome della ragazza era Gina Borellini, ma in battaglia era Kira. Visse per ottantasette anni, dal millenovecentodiciannove ai primi mesi del duemilasette. Morì a Modena, il mio luogo natale e dei miei figli, nonché di residenza. Fu un vero e proprio tuffo al cuore sapere che una delle più importanti donne italiane si spense proprio il giorno in cui nacque la mia prima figlia, il due febbraio duemilasette.

Oltre alla coincidenza delle date fu la prima frase della pagina iniziale del manoscritto a convincermi del tutto a leggere:

– Tutti meritano un lieto fine. – scrisse – Non è la massima ricompensa militare a condizionare il mio pensiero, perché ci credo davvero. La mia storia da partigiana è iniziata subito dopo l’armistizio, dedicando ogni giorno della mia vita affinché l’Italia fosse liberata. Durante il periodo dell’occupazione ho aiutato militari e ricercati sottraendoli alla morte. Non solo: tutti i giorni ho percorso in bicicletta le strade brulicanti di tedeschi per portare armi in buste della spesa ai miei compagni combattenti, diffondevo opuscoli di propaganda, i cui contenuti rimangono per me tutt’ora un mistero, e comunicavo ordini e notizie. Ricordo ancora l’episodio in cui ho rischiato seriamente di essere uccisa seduta stante: un plotone di tedeschi mi aveva bloccato la strada per fare dei controlli ed io stavo portando armi, in particolare fucili, nella busta della spesa dentro il cestino. Ho tentato di coprire le canne che uscivano dalla sacca con il giubbotto, ma la protuberanza era ancora molto evidente. Nel tentativo di distrarli ho iniziato a parlare ingenuamente con loro e poiché non erano altro che uomini non si sono accorti di nulla. Dopo dieci minuti di puro panico sono stata lasciata libera di proseguire. Qualche metro più avanti sono svenuta, rendendomi conto che in quel momento sono stata così vicina alla morte che sarei potuta decedere per un sorriso o una smorfia sbagliata. Ho sempre saputo dei rischi che correvo, ma persino dopo questo episodio non ho mai esitato. Questo mio coraggio, però, mi ha portata all’arresto nel millenovecentoquarantaquattro. Mio marito, con il quale mi sono sposata a sedici anni, è stato fucilato ed io sottoposta alle più atroci torture, ma senza mai rivelare nulla sui miei compagni di battaglia. Sono stata condotta dinnanzi al plotone di esecuzione abbastanza volte da vedermi la vita passare davanti e morire come il mio consorte. […] Poggiai gli occhiali sul tavolo, iniziando ad accarezzare nervosamente il gatto. Nonostante l’età avanzata non avevo mai sentito parlare di Gina Borellini e della sua storia. Per la prima volta mi sono chiesto come mai non si parlava più di queste persone e perché a scuola non informassero di queste donne e uomini pronti a sacrificare la vita per la libertà, invece che insegnare solo la teoria della Seconda Guerra Mondiale. […] Pensai a mia figlia e di quanto sarei stato contrario se avesse voluto rischiare in quel modo, ma, sinceramente, per una buona causa così lo avrei fatto anch’io.

I miei pensieri si erano interrotti a causa del gatto che era sceso dalla scrivania e si era diretto verso la ciotola del cibo: era indeciso tra il secco e l’umido.

Sorrisi.

Partigiano significa letteralmente “di parte” e per me era giunto il momento di decidere se stare dalla parte dell’ignoranza o del sapere.

Decisi di voler sapere.